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Da Il Corriere dell'Umbria (Foligno - Spoleto) 18/8/2002   
 
pag. 12

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L'inchiesta sui rifiuti - A quattro umbri contestati gravissimi reati

Inquinato anche il Clitunno

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Sarebbero stati scaricati fanghi tossici 

Il fiume Clitunno ed il torrente Marroggia sarebbero stati inquinati - lo sostiene la procura di Spoleto - da due imprenditori (uno trevano ed uno salernitano) e da due impiegati folignati (un uomo e una donna) che vi avrebbero scaricato rifiuti prevalentemente costituiti da fanghi industriali di comprovata tossicità; In pratiche questi "veleni" sarebbero stati sversati in alcuni fossi che portano le loro acque al Clitunno e nel Marroggia. Il Clitunno è uno dei simboli della nostra regione sin dall'antichità: Plinio il Giovane ne scriveva come come di un posto di alta suggestione religiosa e paesaggistica.

PERUGIA - Il business dei rifiuti non avrebbe guardato in faccia a nessuno. L'importante era soltanto incassare il denaro. E così quintali e quintali di fanghi tossici sarebbero stati scaricati nei campi dei comuni di Trevi e di Foligno tanto da inquinare anche fiumi e torrenti, causando anche l'inquinamento dell'aria.

Al termine della sua inchiesta, il sostituto procuratore Manuela Comodi della procura di Spoleto ha contestato, tra i vari reati (il capo di imputazione ne contempla una ventina, anche il reato previsto dall'articolo 349 "perché in tempi diversi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso" ricevendo e stoccando, in vari luoghi allo scopo predisposti e gestiti dall'imprenditore V.P. di Treví (che sarebbe la mente ed uno dei due capi dell'organizzazione), insieme al salernitano L.C. e all'impiegato A.R. e all'impiegata R.B., entrambi nativi di Foligno, "ingenti quantitativi di rifiuti prevalentemente costituiti da fanghi di natura industriale di comprovata tossicità, accumulati in strutture non idonee a contenerli in sicurezza, compivano atti idonei in modo non equivoco a cagionare l'avvelenamento delle acque del fiume Clitunno, attraverso lo sversamento del percolato tossico sui canali di deflusso (il fosso Fiumicello Prati, il fosso Paparese(?), il fosso Alveolo, il fosso Forma) che ad esso si congiungono nonché delle acque del torrente Marroggia.

Neanche l'aria sarebbe stata risparmiata. In un altro capo di imputazione ai quattro si contesta la violazione dell'articolo 674 per aver cagionato emissioni moleste dovute alla dispersione incontrollata di materiali polverulenti e sostanze maleodoranti, nonché scarichi al suolo di acque reflue di natura industriale eccedenti i valori limite fissati dalla legge.

Questo inquinamento sarebbe stato causato nei territori di Bastardo di Giano dell'Umbria, di Cannaiola di Trevi e di Casone di Foligno per diversi anni.

Insomma l'organizzazione avrebbe provocato un vero attentato alla natura della nostra regione. Avrebbe innescato una vera e propria bomba ecologica.

Sono diversificate le posizioni dei 52 soggetti coinvolti nella delicata inchiesta della procura di Spoleto e condotta dal sostituto Manuela Comodi. Tra i personaggi coinvolti ci sono trasportatori, imprenditori, impiegati, agricoltori, persino tecnici di aziende che effettuavano controlli. Le analisi, a questo proposito, sarebbero state falsificate per offrire una patente di "normalità" al materiale che veniva trasportato e stoccato. Tanto che alcuni agricoltori che, dietro pagamento, avevano accettato di ricevere sui loro campi i rifiuti, negano di aver avuto sentore o cognizione che si trattasse di rifiuti altamente pericolosi.

L'agricoltore A.G.M., che ha affidato la sua difesa all'avvocato Gianni Dionigi, spiega: "Io avevo accettato di ricevere rifiuti che sapevo essere normali. Non sapevo che fossero inquinanti. I certificati di laboratorio che mi erano stati mostrati apparivano del tutto tranquillizzanti. Non avevo nessun motivo per ritenere il contrario". Adesso queste spiegazioni dovranno essere fatte ai giudici del tribunale.

 

 

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Aggiornamento: 28 aprile 2010.