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Byron nel cuore verde d'Italia

 

Con questo saggio su Byron il prof. Otello Cottini contribuì alla realizzazione del volume commemorativo del 50° anniversario dell'istituzione del Liceo Scientifico di Foligno.1.

Si ripropongono integralmente lo scritto del Cottini e i versi del Byron - anche la parte che non riguarda direttamente il Clitunno - in ricordo del professore che fu grande amico e assiduo frequentatore di Trevi e che insegnò in quella scuola dove anche chi scrive, qualche anno prima, aveva imparato qualcosa.

I versi che riguardano specificatamente il Clitunno - la fonte e il tempio - sono le strofe contrassegnate con i numeri LXVI, LXVII e LXVIII

 

 

 

 

Nel 1816, all'età di ventotto anni, il poeta George Gordon Lord Byron, travolto dagli scandali familiari, partì dall'Inghilterra in volontario esilio. Dopo varie peregrinazioni, trovò in Italia la patria di adozione, l'ispiratrice delle sue opere migliori. La sua vita fu strettamente congiunta con l'Italia, che egli amò di un amore sincero e appassionato. Era ottimo conoscitore della letteratura italiana e sapeva parlare e scrivere la nostra lingua abbastanza correttamente. Così spesso fece dell'Italia il soggetto della sua opera poetica che non è esagerazione se si afferma che gli inglesi, attraverso Byron, cominciarono a conoscere il nostro paese.

I suoi ideali di libertà lo portarono a svolgere una parte attiva nelle associazioni segrete che propugnavano la liberazione dell'Italia dalla servitù straniera. Le vicende politiche si intrecciavano con quelle della sua vita sentimentale.

Quando egli era il devoto "cavalier servente" della giovane contessa Teresa Gamba, moglie dell'anziano conte Alessandro Guiccioli, ravennate, ebbe l'occasione di stringere amicizia con il fratello di lei, Pietro, e il padre Ruggero, i quali, essendo ardenti liberali e carbonari, lo accolsero con entusiasmo nelle file della cospirazione patriottica.

Le premurose cure dell'avvenente contessa avevano posto fine alle folli avventure di Byron con le numerose donne che aveva raccolto intorno a sé a Venezia, nella sua nobile dimora di palazzo Mocenigo, sul Canal Grande. Dal novembre 1816 si era stabilito a Venezia, dove trascorse tre anni di vita disordinata, ma prodiga di frutti letterari.

Nella primavera del 1817 volle interrompere il suo gaio soggiorno veneziano per fare un viaggio a Roma, la città che aveva sempre desiderato visitare. Come si addiceva al suo rango, viaggiò sulla sua ricca carrozza personale, con un magnifico tiro a sei di cui andava orgoglioso.

Lasciata Venezia il 17 aprile, il poeta passò per Padova ed Arquà, dove visitò la casa e il sepolcro del Petrarca. A Ferrara egli vide il vecchio castello estense, la cella del Tasso e la tomba dell'Ariosto. Proseguì per Bologna e Firenze, dove giunse il 22 aprile, fermandosi solo un giorno. Le impressioni fiorentine sono contenute in una lettera che attesta la presenza di Byron in Umbria, e precisamente a Foligno. Il poeta, quasi certamente, prese alloggio per una notte all'albergo della Posta, da dove inviò al suo editore londinese John Murray la lettera che reca la data "Foligno, 26 aprile 1817", senza alcun commento su questa città.

Trent'anni prima, aveva sostato a Foligno un altro grande poeta straniero, Johann Wolfgang Goethe, durante il suo celebre viaggio in Italia, del quale Byron percorreva in parte l'itinerario. È opportuno ricordare che tra i due poeti vi era una profonda, reciproca stima e ammirazione.

Attraversando l'Umbria, Byron fu colpito dalla bellezza di tre suggestivi luoghi d'acqua della nostra regione: il lago Trasimeno, le sorgenti del Clitunno e la cascata delle Marmore, da lui descritti in versi di intensa commozione. Il 29 aprile arrivò a Roma, che egli definì "la Meravigliosa", e vi rimase circa tre settimane, visitando le antichità e facendo alcune gite nei dintorni.

A Roma, nel parco di Villa Borghese, si può ammirare una bella statua di Byron, che fu inaugurata dalla principessa Margaret d'Inghilterra nel 1959. E una replica di quella che si trova nel Trinity College di Cambridge, dove egli aveva compiuto i suoi studi universitari. Sul piedistallo sono scolpiti versi in lingua inglese che esprimono l'amore del poeta per Roma e per l'Italia.

Nel viaggio di ritorno verso Venezia, Byron rivide la cascata di Terni, la quale, come disse, "supera ogni cosa"; poi sostò nuovamente sulle fresche rive del Clitunno. Di questa sosta egli fa menzione in una lettera a John Murray del 4 giugno 1817. Così scrive il poeta: "Al mio ritorno, vicino al tempio presso le sue rive, ebbi qualcuna delle famose trote del fiume Clitunno, il più grazioso fumicello di tutta la poesia, presso la prima posta tra Foligno e Spoleto". La stazione di posta di cui si parla era situata sulla strada consolare Flaminia, nel paesino di Pissignano di Campello.

In memoria del poeta, oggi Campello sul Clitunno ha una via "George Byron" e un albergo-ristorante "Lord Byron". Anche a Tuoro sul Trasimeno egli è ricordato nel nome di una via, mentre a Terni è a lui intitolato il piazzale antistante la cascata delle Marmore.

Oltre che a Venezia, Byron visse a Ravenna, a Pisa e, infine, a Genova. Il fallimento della causa liberale lo spinse a lasciare l'Italia nel 1823, insieme a Pietro Gamba, per recarsi in Grecia, deciso a partecipare alla guerra di indipendenza contro il dominio turco. Le precarie condizioni di salute gli impedirono, con suo rammarico, di prendere parte personalmente ad azioni militari. Morì di febbre reumatica a Missolonghi, sul golfo di Patrasso, il 19 aprile 1824. Aveva soltanto trentasei anni. A ricordo dell'evento, Gioacchino Rossini, che aveva conosciuto il poeta a Milano, compose un "Pianto delle Muse in morte di Lord Byron", canto corale eseguito per la prima volta a Londra durante una manifestazione celebrativa.

Il risultato letterario della lunga residenza di Byron in Italia fu la pubblicazione, tra le molte opere di soggetto italiano, del quarto canto del "Childe Harold's Pilgrimage" (Le peregrinazioni di Aroldo il cavaliere), poemetto autobiografico in strofe spenseriane, del quale erano stati pubblicati nel 1812 i primi due canti, che avevano reso subito famoso l'autore. Il terzo canto apparve nel 1816 e il quarto, interamente dedicato all'Italia, nel 1818.

Questo canto fu da molti considerato una sorta di guida poetica dell'Italia. Nella compilazione del "Manuale per i viaggiatori dell'Italia Centrale", stampato nel 1843 dall'editore John Murray, l'opera di Byron costituì, senza dubbio, un valido punto di riferimento. La vista dei numerosi viaggiatori inglesi, che seguivano le orme di "Childe Harold" tenendo in mano il poemetto di Byron o la guida di Murray, suggerì il primo Baedeker, pubblicato in Germania nel 1861 come "Guida dell'Italia Centrale", modello assoluto di tutte le guide turistiche fino ai nostri giorni.

All'Umbria Byron dedica undici strofe del suo "Childe Harold", di cui quattro al Trasimeno, tre al Clitunno e quattro alla cascata delle Marmore: un centinaio di versi in tutto.

Osservando a Tuoro l'argentea distesa del lago Trasimeno, il poeta medita sulla tragica disfatta qui subita dall'incauto e temerario Caio Flaminio, console delle legioni romane, nel giugno del 217 a.C., durante la seconda guerra punica. In un mattino velato di nebbia, l'astuzia e l'abilità tattica di Annibale cartaginese infliggevano a Roma una tra le più brucianti sconfitte della sua storia di potenza. Nella verde vallata presso il litorale lo scontro tra i due eserciti fu sanguinosissimo, come tutti i massacri dell'eterna tragedia che l'uomo chiama guerra. I legionari, pur colti di sorpresa, si batterono con tenace valore fino all'inevitabile rovina. Non vi fu scampo per i Romani, chiusi tra il lago e le falde delle colline. Spinti nel lago, alcuni, in preda alla disperazione, si lanciarono a nuoto con tutte le loro armi e affogarono;

molti altri, penetrando nell'acqua finché era possibile, cercarono rifugio tra i canneti, ma furono raggiunti e trucidati dai cavalieri nemici. Nel totale disastro molte migliaia furono i caduti, tra i quali lo stesso console Flaminio.

In una sequenza di versi di forte tensione drammatica il poeta ricorda come, nel furore della mischia, passasse inosservato un violento terremoto che sconvolse gran parte d'Italia. "Tale è l'assorbente odio quando popoli guerreggianti si scontrano!" La singolare circostanza del terremoto durante la battaglia è riferita da Tito Livio ("Ab Urbe condita" XXII, 5) e da Cicerone ("De Divinatione" I, 35).

Presso Tuoro sul Trasimeno, luogo assai probabile del fatale avvenimento, vi è un piccolo borgo, chiamato Sanguineto, che in passato condivideva con un torrentello il suo nome, triste ricordo dei caduti che "bagnarono la terra e resero rosse le acque nolenti". Secondo una narrazione tramandata dalla tradizione locale, l'umile rivo, ora denominato Macerone, recò nelle sue acque tracce di sangue per tre giorni.

All'angosciosa descrizione di acque profanate da stragi il poeta contrappone la serena immagine delle pittoresche sorgenti del Clitunno, le cui limpide vene si spandono a formare un laghetto puro e cristallino, specchio e bagno per le ninfe. Nelle gelide profondità guizzano lucenti trote, qua e là galleggiano soavi fiori di ninfea, mentre il candido giovenco pascola sulle rive erbose. Ai piedi della collina sorge un tempietto, la cui delicata struttura serba il ricordo dell'antica divinità fluviale, sacra al culto pagano. Il verde e la freschezza del paesaggio riversano nel cuore un dolce refrigerio. Il viandante, dice il poeta, non deve mancare di benedire il genio tutelare del luogo per questa "pausa nel disgusto della stanca vita".

La scena di sapore pagano descritta da Byron non può far dimenticare che il tempietto del Clitunno è, in realtà, un edificio paleocristiano, dedicato al Salvatore, che risale probabilmente agli inizi del V secolo. Costruito in parte con elementi architettonici di sacelli pagani, esso ha una forma elegante di ispirazione nettamente classica. Nel suo interno sono conservate le più antiche pitture cristiane dell'Umbria (sec. VII).

La presentazione delle fonti del Clitunno concepita dal poeta è, comunque, gradevole e tipicamente romantica. Così Byron inserisce il suo nome tra gli scrittori famosi (Virgilio, Properzio, Plinio il Giovane, Carducci e tanti altri) che in ogni epoca hanno ammirato ed esaltato questo luogo incantevole, angolo di eccezionale bellezza e di pace.

Subito dopo, il testo poetico ha un improvviso sussulto. Vi è un mutamento repentino di ritmo e di tono. I versi che descrivono la cascata delle Marmore hanno parole di straordinaria forza espressiva. Sembra di udire il fragore della superba cascata. Le acque del Velino, come quelle dell'infernale Flegetonte, precipitano, con un salto vertiginoso, nella stretta valle sottostante, spumeggiando e scuotendo l'abisso. Sul fondo le accoglie il fiume Nera in un tumultuoso abbraccio. Immensi spruzzi rimbalzano di roccia in roccia verso il cielo, irrorando, tutt'intorno, la rigogliosa vegetazione dell'alto dirupo, verde scenario di uno spettacolo imponente e stupendo. La poderosa cascata" sembra la sorgente di un giovane mare". Attraverso la lampeggiante massa d'acqua, "orribilmente bella", si accendono a volte i fulgidi colori dell'iride, simbolo della "Speranza presso un letto di morte" e dell` Amore che sorveglia la Follia".

L'emozionante descrizione mette bene in evidenza le caratteristiche di Byron:

la forza, la retorica, la rapidità di pensiero e di composizione. Alla vista di un luogo, o nella rievocazione di un evento, egli reagisce dal più profondo dei suoi vigorosi impulsi ed è capace dei più elevati voli di fantasia.

La "Cascata di Terni" è anche il soggetto di un bel quadro di William Turner, il maggiore pittore inglese, contemporaneo di Byron e suo ammiratore. L' affinità tra i due personaggi è sorprendente. La luminosa pittura di Turner era spesso associata alla poesia di Byron, del quale il geniale artista illustrò molti soggetti ed espose quelli del "Childe Harold" usando come didascalie i versi del poema.

La celebrità di quest'opera può essere annoverata tra i fattori che spinsero Turner a compiere, nel 1819, il primo viaggio in Italia, al quale concorse naturalmente la forte attrazione che una simile meta esercitava su un pittore inglese all'inizio dell'Ottocento.

Trovandosi in Umbria nell'autunno di quell'anno, ed anche nella sua successiva visita circa dieci anni dopo, Turner ne ritrasse il paesaggio, le città e i monumenti in un'ampia serie di disegni e rapidi schizzi, alcuni dei quali furono poi tradotti in pregevoli dipinti.

Tra i vari soggetti umbri, le vedute di Foligno e il tratto di viaggio da Foligno a Spoleto impegnarono l'artista in numerosi disegni e appunti pittorici di altissima qualità.

 

Sono ora offerte alla lettura le strofe del quarto canto del "Childe Harold" dedicate all'Umbria. La traduzione in prosa è di Aldo Ricci, pubblicata da Sansoni.

 

 

LXII

 

                             and I roam
By Thrasimene's lake, in the defiles
Fatal to Roman rashness, more at home;
For there the Carthaginian's warlike wiles
Come back before me, as his skill beguiles
The host between the mountains and the shore,
Where Courage falls in her despairing files,
And torrents, swoll'n to rivers with their gore,
Reek through the sultry plain, with legions scattered o'er,

 

 

LXII

 

       ed io m'aggiro più a mio agio lungo il lago Trasimeno, nelle valli fatali alla temerità romana; ché là mi tornano alla mente gli inganni guerreschi del Cartaginese, quando la sua astuzia attira l'esercito tra i monti e la sponda, ove i valorosi cadono tra le loro disperanti file, e i torrenti gonfi del loro sangue fino a divenir fiumi, scorrono fumanti attraverso l'afosa pianura, tutta cosparsa di legioni,

 

 

LXIII

 

 

Like to a forest felled by mountain winds;
And such the storm of battle on this day,
And such the frenzy, whose convulsion blinds
To all save Carnage, that, beneath the fray,
An Earthquake reeled unheededly away!
None felt stern Nature rocking at his feet,
And yawning forth a grave for those who lay
Upon their bucklers for a winding sheet –
Such is the absorbing hate when warring nations meet!

 

 

 

LXIII

 

 simile ad una foresta abbattuta da venti montani: e tale fu in quel giorno la tempesta della battaglia, tale la frenesia le cui convulsioni rendono ciechi a tutto eccetto che alla carneficina, che, durante quella lotta, un terremoto scosse la terra inosservato! Nessuno senti l'austera Natura vacillare sotto i piedi, e spalancare una tomba per coloro che giacevano sullo scudo a guisa di sudario; tale è l'assorbente odio quando popoli guerreggianti si scontrano!

 

 

LXIV

  

The Earth to them was as a rolling bark
Which bore them to Eternity - they saw
The Ocean round, but had no time to mark
The motions of their vessel; Nature's law,
In them suspended, recked not of the awe
Which reigns when mountains tremble, and the birds
Plunge in the clouds for refuge and withdraw
From their down-toppling nests; and bellowing herds

Stumble o'er heaving plains - and Man's dread hath no words.

 

 

 

LXIV

  

Per loro la Terra fu come una nave beccheggiante che li portasse all'Eternità; videro l'oceano attorno, ma non ebbero il tempo di accorgersi del moto del loro vascello; la legge della Natura, sospesa in essi, non si curava del terrore che regna quando le montagne tremano, e gli uccelli si tuffano nelle nubi per rifugio, abbandonando i loro cadenti nidi: e mugghianti mandre corrono inciampando at­traverso ondeggianti pianure - ed il terrore umano non ha parole.

 

 

LXV

  

Far other scene is Thrasimene now;

Her lake a sheet of silver, and her plain

Rent by no ravage save the gentle plough;

Her aged trees rise thick as once the slain

Lay where their roots are; but a brook hath ta'en -

A little rill of scanty stream and bed -

A name of blood from that day's sanguine rain;

And Sanguinetto tells ye where the dead

Made the earth wet, and turned the unwilling waters red.

 

 

LXV

 

 Adesso il Trasimeno offre una scena ben differente; il suo lago è uno specchio argenteo, e la pianura non è trafitta da alcuna ferita se non del pacifico aratro; i suoi vecchi alberi sorgono così folti come una volta giacevano i morti là dove sono ora le loro radici: ma un ruscello - un piccolo fiumicello di poca portata e dallo stretto letto - ha preso un nome di sangue dalla rossa pioggia di quel giorno; e il Sanguineto indica ove i caduti bagnarono la terra e resero rosse le acque nolenti

 

 

 

LXVI

 

 But thou, Clitumnus! in thy sweetest wave

Of the most living crystal that was e'er

The haunt of river-Nymph, to gaze and lave

Her limbs where nothing hid them, thou dost rear

Thy grassy banks whereon the milk-white steer

Grazes - the purest God of gentle waters!

And most serene of aspect, and most clear,

Surely that stream was unprofaned by slaughters -

A mirror and a bath for Beauty's youngest daughters!

 

 

LXVI

  

Ma tu, o Clitunno! dalla tua dolcissima onda del più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale, per guardarvi dentro e bagnare le sue membra ove nulla le nascondeva, tu innalzi le tue rive erbose lungo le quali pascola il giovenco bianco come il latte; o tu -  il più puro Dio di acque miti, e il più sereno d'aspetto, e il più limpido, invero la tua corrente non fu profanata da carneficine - specchio e vasca per le più giovani figlie della Bellezza!

 

 

 

LXVII

 

And on thy happy shore a Temple still,

Of small and delicate proportion, keeps,

Upon a mild declivity of hill,

Its memory of thee; beneath it sweeps

Thy current's calmness; oft from out it leaps

The finny darter with the glittering scales,

Who dwells and revels in thy glassy deeps;

While, chance, some scattered water-lily sails

Down where the shallower wave still tells its bubbling tales.

 

 

LXVII

 

E sulla tua felice sponda un Tempio, di minuta e delicata struttura, mantiene ancora, sul mite declivio di una collina, il ricordo di te; sotto ad esso scorre la tua placida corrente; spesso guizza fuori da essa il dardeggiante pesce dalle lucenti scaglie, che dimora e giuoca nella tua cristallina profondità; mentre forse qualche sperduto fiore di ninfea passa galleggiando ove il flutto meno profondo ripete ancora le sue gorgoglianti novelle.

 

 

 

LXVIII

 

Pass not unblest the Genius of the place!

If through the air a Zephyr more serene

Win to the brow, 'tis his; and if ye trace

Along his margin a more eloquent green,

If on the heart the freshness of the scene

Sprinkle its coolness, and from the dry dust

Of weary life a moment lave it clean

With Nature's baptism, -'tis to him ye must

Pay orisons for this suspension of disgust.

 

 

 

LXVIII

 

Non oltrepassare, senza benedirlo, il Genio del luogo! Se uno zeffiro più sereno giunge attraverso l'aria fino alla tua fronte, è suo, e se lungo il margine tu t'imbatti in un verde più attraente, se la freschezza della scena riversa il suo refrigerio nel tuo cuore, e per un istante lo purifica dalla polvere riarsa della stanca vita, col battesimo della Natura, a Lui tu devi volgere le tue orazioni per questa pausa nel tuo disgusto.

 

 

LXIX

 

The roar of waters! - from the headlong height

Velino cleaves the wave-worn precipice;

The fall of waters! rapid as the light

The flashing mass foams shaking the abyss;

The Hell of Waters! where they howl and hiss,

And boil in endless torture; while the sweat

Of their great agony, wrung out from this

Their Phlegethon, curls round the rocks of jet

That gird the gulf around, in pitiless horror set,

 

 

LXIX

 

Rimbombo di acque! Dalla scoscesa altura il Velino fende il baratro consunto dai flutti. Caduta di acque! Veloce come la luce, la lampeggiante massa spumeggia, scuotendo l'abisso. Inferno di acque! là dove queste urlano e sibilano e ribollono nell'eterna tortura; mentre il sudore della loro immane agonia, spremuto da questo loro Flegetonte, abbraccia le nere rocce che circondano l'abisso, disposte con dispietato orrore,

 

 

LXX

 

And mounts in spray the skies, and thence again

Returns in an unceasing shower, which round,

With its unemptied cloud of gentle rain,

Is an eternal April to the ground,

Making it all one emerald: - how profound

The gulf! and how the Giant Element

From rock to rock leaps with delirious bound,

Crushing the cliffs, which, downward worn and rent

With his fierce footsteps, yield in chasms a fearful vent

 

 

LXX

 

e sale in spuma verso il cielo, per ricaderne in un incessante scroscio, che, con la sua inesausta nube di mite pioggia, reca un eterno aprile al terreno attorno, rendendolo tutto uno smeraldo: - quanto profondo è l'abisso! E come di roccia in roccia il gigantesco Elemento balza con delirante salto, abbattendo le rupi che, consunte e squarciate dai suoi feroci passi, concedono in abissi uno spaventoso sfogo

 

 

LXXI

 

To the broad column which rolls on, and shows

More like the fountain of an infant sea

Tom from the womb of mountains by the throes

Of a new world, than only thus to be

Parent of rivers, which flow gushingly,

With many windings, through the vale: - Look back!

Lo! where it comes like an Eternity,

As if to sweep down all things in its track,

Charming the eye with dread, - a matchless cataract,

 

 

LXXI

 

alla poderosa colonna d'acqua che continua a fluire e sembra piuttosto la sorgente di un giovane mare, divelto dal grembo di montagne dalle doglie di un nuovo mondo, che non soltanto la fonte di fiumi che scorrono fluenti in numerosi meandri attraverso la valle! Volgiti indietro! Vedi, dove esso si avanza simile ad una Eternità, quasi che dovesse spazzar via tutto ciò che trova sul suo cammino, affascinando l'occhio col Terrore - impareggiabile cateratta,

 

 

LXXII

 

Horribly beautiful! but on the verge,

From side to side, beneath the glittering morn,

An Iris sits, amidst the infernal surge,

Like Hope upon a death-bed, and, unworn

Its steady dyes, while all around is torn

By the distracted waters, bears serene

Its brilliant hues with all their beams unshorn:

Resembling, 'mid the torture of the scene,

Love watching Madness with unalterable mien.

 

 

LXXII

 

orribilmente bella! ma sul margine, da una parte all'altra, sotto lo scintillante mattino, posa un'iride tra gli infernali gorghi, simile alla Speranza presso un letto di morte, e, inconsunta nelle sue fisse tinte, mentre tutto là attorno è dilaniato dalle acque infuriate, innalza serenamente i suoi fulgidi colori con tutti i loro raggi intatti, e sembra, tra l'orrore della scena, l'Amore che sorveglia la Follia con immutabile aspetto.

 

 

 

Queste sono le impressioni poetiche di Byron sull'Umbria, cuore verde d'Italia. Viaggiando attraverso la nostra terra, così ricca di preziosi segni del passato, il poeta fu sicuramente toccato dallo splendore delle sue antiche città, dalla visione dei deliziosi paesi, grandi e piccoli, disseminati sulle colline, ma egli trovò la fonte di ispirazione in alcuni aspetti naturali del paesaggio umbro, di questo meraviglioso paesaggio-pittura che sa colorarsi di un verde più attraente, "a more eloquent green".

L' affascinante personalità del poeta, nelle luci e nelle ombre, traspare dai canti del "Childe Harold" e da tutta la sua vasta produzione letteraria: è impossibile separare la sua vita dalla sua poesia.

Byron viene comunemente considerato uno dei più tipici rappresentanti del romanticismo non solo inglese, ma europeo. Si può, tuttavia, affermare che, se gli fosse accaduto di vivere nel nostro secolo, sarebbe sembrato ad esso congeniale. Come disse Goethe, "Byron non è antico e non è romantico, ma è come il giorno attuale stesso".

 

 

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Aggiornamento: 09 luglio 2009.
 
Note
1) Liceo Scientifico Statale "G. Marconi" Foligno, Educazione e Scuola: i cinquant'anni del Liceo Scientifico di Foligno, Spello, 1991, pagg. 93-103